Erano passati più di dieci anni, eppure, quando il sole era alto in cielo quelle scalette portavano ancora alla solita porta aperta, segno di inappropriata accoglienza, mentre al tramonto lasciavano al di qua o aldilà di essa: la fortuna era trovarsi dalla parte giusta.
Quella porta la Signorina Wilson la ricordava come la strozzatura di una clessidra in cui lei, assieme ad altra sabbia depredata di pensiero proprio, occupava il volume residuo.
Sabbia omogenea senza colore ma ancora dotata di gambe per camminare, di occhi ai quali riaccendere la luce, di un volto sul quale ricamare una espressione che non fosse di sola profonda fissità.
Litanie maniacali come mantra erano i soli suoni che permettevano alla sabbia di librarsi nei pensieri deliranti che rimbalzavano in scatole bianche dotate di porte e finestre senza maniglie. Era un mondo senza specchi, senza lacci alle scarpe, senza cintole ai pantaloni ma con cinture per le braccia. Dove la femminilità era abbandonata a se stessa, dove i frutti di una maternità si perdevano nel ricordo cancellato con una bruciatura elettrica.
Anche quel volume residuo era mondo. E le richieste di aiuto che avevano invaso l'udito della Signorina Wilson erano inequivocabilmente l'istinto di sopravvivenza incapace di arrendersi anche di fronte ai furti di pensiero.
Anche in quel volume residuo la sabbia era viva e la Signorina Wilson ne avrebbe colto un granello.